Intervista (2) con Sensei Taiji Kase

Il karate come difesa personale

di Carlo Pedrazzini e Lucia Strada (Yoy)

 

 

YOI: Lei forse non sa di rappresentare per molti karateka una sorta di leggenda vivente. Su di lei si raccontano molte cose, vorrebbe raccontarci uno dei momenti più rappresentativi della sua vita di karateka?

M° Kase: Praticavo già da qualche anno il karate, quando nel 1944 entrai nel corpo della Marina giapponese, qui mi resi conto di come il modo di fare karate fosse molto diverso da quello a cui ero abituato. Nell'esercito la vita era molto meno importante, l'allenamento molto più duro e tragico in quanto rappresentava un mezzo per sopravvivere.
La differenza sostanziale tra il karate odierno e quello che praticavo nell'esercito era che oggi si deve controllare il colpo per non fare male,allora si controllava il colpo per non uccidere. Oggi il karate è uno sport praticato da molte persone, allora era qualcosa in bilico tra la vita e la morte, infatti qualcuno morì per incidenti durante gli allenamenti.

YOI: Che tipo di allenamento veniva praticato?

M° Kase: Considerato che lo scopo essenziale era quello di abbattere l'avversario, l'allenamento era impostato sul potenziamento della tecnica; si faceva molto esercizio sul makiwara, 1000 o 2000 ripetizioni per tecnica, soli o a coppie, bisognava colpire sempre, evitando solo lamorte del compagno. La parata rivestiva un ruolo molto più importante di quello attuale, in quanto serviva come mezzo per rendere inoffensivo l'avversario,per questo era molto importante fortificare le braccia per poter spezzare l'avambraccio o la gamba dell'avversario. Per ottenere questo le parate venivano allenate con l'ausilio di bastoni di legno o contro alberi, tutto l'allenamento era volto a un unico scopo,non era necessario contrattaccare, una parata doveva essere sufficiente a rendere inoffensivo l'avversario.

YOI: M°Kase, se qualcuno la offende o la aggredisce, quale sarà la sua reazione?

M° Kase: Qualsiasi cosa una persona possa dire di me, non ha nessuna importanza perché io ho una mia Via da seguire, la mia reazione sarebbe di sorridere a chi mi ha offeso, in fondo se una persona pensa determinate cose di me va bene, in quanto ognuno è libero delle proprie idee ed ognuno sceglie la propria via da seguire. Questo non significa che io non rispetto le idee altrui, anzi è proprio per questo mio rispetto che eviterò in seguito di incrociare la mia strada con quella di chi mi ha offeso,per evitare inutili contrasti. Non so quanto avrò da vivere ma so quello che devo raggiungere e quale Via devo seguire, la mia unica paura è di non avere sufficiente tempo a disposizione per tutto questo,perciò non voglio sprecare tempo ed energie inutilmente; solo in caso di un'aggressione fisica cercherei di reagire, rendendo inoffensivo il mio aggressore e facendogli perdere i sensi, in modo che al suo risveglio io sarò già lontano.
Questo tipo di tecnica esiste anche nel judo, nel karate si chiama tecnica di Atemi e consiste nel colpire un punto debole del corpo dell'avversario. Se tutte le persone pensassero in questo modo,probabilmente sarebbe molto più semplice vivere, perché quando si rispetta una persona automaticamente la si invita ad avere il medesimo atteggiamento nei propri confronti.
In Giappone in ogni famiglia esistono determinate regole che è indispensabile rispettare per vivere secondo questo principio. Nell'antico Giappone i Samurai vivevano secondo regole molto più severe di quelle attuali, se qualcuno disobbediva veniva ucciso,o se una persona riteneva di aver oltrepassato il limite e voleva chiedere perdono aveva un solo modo per farlo: Hara kiri. Solo con la morte era possibile chiedere scusa; esisteva un filo molto sottile che separava la vita dalla morte, per questo era molto importante seguire e rispettare le regole. Attraverso altri mezzi anch'io voglio raggiungere queste regole di vita e sto lavorando per questo.

Fonte: FB, Yoi mensile di karate e discipline orientali

kase3
Altre letture