Intervista (1) con Sensei Taiji Kase

Alla ricerca del sesto senso tramite il Karate-do

.. di Carlo Pedrazzini e Lucia Strada (Yoi ottobre 1983)

 

 

Il m° Kase rappresenta per i karateka italiani una sorta di mito e gode di una grande ammirazione, dovuta al suo passato che potremmo definire storico e alla sua personalità, che può solo suscitare rispetto in chi ha avuto modo di incontrarlo in prima persona. Parlandogli o partecipando alle sue lezioni, non si può non rimanere affascinati dalla tranquilla pace e serenità che questa persona sa emanare senza bisogno di parole o gesti, sensazioni queste che solo un uomo in pace con se stesso e convinto delle proprie scelte può infondere nel prossimo.
Dopo aver praticato dai sei ai tredici anni judo, casualmente sfogliando un libro dal titolo "Karate-Do Kyohan" scritto dal m° Funakoshi, il giovane Kase rimase affascinato e allo stesso tempo intimorito dalle immagini che questo libro riportava, decise quindi di cercare una palestra dove si praticasse karate,e da qui iniziò la sua storia.
YOI: M° Kase, come è iniziata la sua avventura al di fuori del Giappone?
M° Kase: Nel 1965 il M° Shirai ed io siamo stati invitati in Italia dal M° Fassi ed insieme abbiamo iniziato gli allenamenti con i nostri primi allievi: Falsoni, Baleotti, Parisi, Perlati, Tammaccaro, Demichelis, Zoia,ecc. Allora l'allenamento era molto duro ed era anche più difficile continuare, ma questo ha contribuito a creare un grosso legame affettivo con il karate italiano, e con questi primi allievi che io tuttora ricordo con grande affetto quasi fossero miei figli. Tuttavia per poter progredire nel karate non è sufficiente fare solo molte ore di allenamento e sviluppare l'aspetto tecnico, ma è indispensabile progredire anche con un certo tipo di mentalità,cosa non sempre facile.
YOI: Cos'è per lei il karate?
M° Kase: Personalmente ritengo che una persona dopo 20 anni di pratica di karate possa considerarsi circa a un terzo della sua strada, quindi con moltissime possibilità di crescere, dopo 25-30 anni, allora si potrà capire cosa è veramente il karate. L'importante resta comunque il desiderio di continuare. Un esempio potrebbe essere la scalata di una montagna, camminando verso la vetta lo scalatore ha modo di osservare come ad ogni tappa l'aria ed il paesaggio cambino, continuando sempre più in alto egli scopre cose sempre nuove, sino a raggiungere la vetta, dalla quale solo allora potrà godere di una visione completa assaporando la gioia di tutte le fatiche consumate per raggiungerla.
Purtroppo qualcuno durante questa scalata pensa di aver raggiunto la vetta e si ferma,accontentandosi di ciò che ha trovato o illudendosi di essere già arrivato e questo è un vero peccato! Lo stesso discorso riguarda un praticante di karate. Dopo 40 anni di pratica penso di essere quasi arrivato alla cima ma so che devo ancora proseguire. La stessa idea segue il M° Shirai, ed èimportante che insieme decidiamo di continuare.
YOI: M° Kase, da che cosa è rappresentata la meta del suo cammino?
M° Kase: In Giappone quando un allievo inizia la pratica del karate la prima cosa che gli viene insegnata non è la tecnica, ma tutta una serie di regole morali e sociali che formeranno la base per la sua crescita, solo in seguito si inizierà la pratica, maturando le due cose contemporaneamente; questo rappresenta la base dalla quale io sono partito. In seguito tutte le tecniche apprese vengono utilizzate per una conoscenza approfondita di se stessi,al termine della quale risulta molto più facile abbattere un avversario in caso di necessità.
Per abbattere un avversario potrebbe essere sufficiente un'arma, ma questa resterà solo un oggetto, mentre il karate dopo molti anni di pratica diventa qualcosa che è dentro di noi e ci permette di sviluppare sia la nostra forza fisica che le nostre capacità mentali,sviluppando così quello che si può definire il nostro sesto senso, attraverso il quale riusciremo a percepire chi è l'avversario e quali sono le sue intenzioni. Questo che chiamiamo sesto senso era nel tempo antico molto più sviluppato negli uomini, in quanto la loro era una vita molto più istintiva, che li avvicinava all'intuito del mondo animale. Ora tutto questo si va velocemente deteriorando per il tipo di civiltà in cui viviamo, quindi il karate può essere considerato un mezzo attraverso il quale riscoprire questa intuizione. Sto cercando di sviluppare questa capacità primordiale dell'uomo e penso di esservi molto vicino, per questo mi sto allenando. Spero solo di avere sufficiente tempo a disposizione prima di morire.
(1-continua)

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